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Silvana Maroni - Napoli

Il professore entrò in classe alle otto del mattino del primo giorno di primavera portando con sé la gioia e la sensazione di rinascita che spesso si accompagna alle giornate ventose di marzo. Un mese ribelle, indeciso, motivato anche lui a portare scompiglio nei cuori e nelle giovani menti. Il professore lo sapeva bene: materia grigia da plasmare, stimolare, affinare alla ricerca di un pensiero critico. Ardua missione ai tempi dei social, di internet e della filosofia del “sempreconnessi”.

“Oggi ragazzi voglio invitarvi a riflettere su un'immagine, una foto molto significativa.” Esordì il docente rivolgendosi alla platea distratta, indaffarata in mille attività che sembravano essere ben più importanti.

“Posate i telefonini e state attenti!”

Accese la LIM e si collegò al suo account di Drive aprendo un'immagine che sembrava sfocata, fatta di alcune righe colorate su un fondo scuro, dove, piccolissimo, si scorgeva un minuscolo puntino luminoso.

“Vedete questa immagine? Bene, è stata scattata nel 1990 dalla sonda Voyager1 lanciata nello spazio nel 1977. Qui era ad una distanza di circa 6 miliardi di chilometri dalla Terra. La sonda contiene un disco placcato in oro con registrazioni di immagini e suoni del nostro pianeta, destinati a chi, forse, un giorno la dovesse trovare. Un messaggio in bottiglia nell'oceano dello spazio e del tempo che condensa, se ci sarà qualcuno lassù che saprà leggere e ascoltare, la conoscenza e la bellezza del nostro meraviglioso pianeta e dell'ingegno umano. Ci sono suoni naturali come il rumore delle onde o del vento, o il canto degli uccelli e quello delle balene, brani di musica, di Bach e di Beethoven, ma anche Johnny B.Goode di Chuck Berry, un classico del Rock and Roll, e poi tante foto, filmati...”

“Prof ma secondo lei esistono alieni che ci capiranno qualcosa, che sapranno far partire un vecchio disco? Neanche noi usiamo più i CD.” Disse Paolo, interrompendo il docente.

“Manca il rap, gli alieni si annoieranno!” Gli rispose Giovanni.

Anche Luca era in vena di fare battute: “Prof, mi dica che c'è almeno un dribbling di Maradona o una rovesciata di Pelè. Il gol del Pibe contro l'Inghilterra potevano metterlo, è un capolavoro!”

“Quello non l'aveva ancora fatto!” Rispose il professore, anche un po' divertito, cercando di riportare la discussione nel solco giusto, con fatica.

“E il puntino? Cos'è?”

“La foto non è venuta bene, cosa rappresenta?”

“In quella foto ci siamo tutti noi , o meglio, voi non ci siete perché troppo giovani, ma io sì perché il puntino è la Terra.” Riuscì finalmente a spiegare il professore.

Il particolare sollevò l'interesse della platea, che da mare piatto appena increspato si trasformò in una vera e propria tempesta. Un fuoco di fila di domande investì il docente:

“Ma come la terra? E chi l'ha scattata, gli alieni?”

“Come si fa ad essere sicuri che si tratta della terra?”

“Prof dove sono il Sole e gli altri pianeti? Giove è gigantesco, non dovrebbe stare dalle nostre parti?”

“La foto è stata scattata automaticamente dalla sonda stessa che ha ruotato la fotocamera

Si è fatta un selfie insomma, con tutti gli abitanti del nostro pianeta.”

“Ma c'è dell'altro, ed è molto interessante: si tratta il commento di Carl Sagan, lo scienziato che ideò questa missione e lavorò per realizzarla, è un ammonimento per tutti. Leggi Antonella!

Così disse porgendo un foglio ad una ragazzina bionda al primo banco. Altre fotocopie del foglio furono distribuite a tutti gli studenti.

Antonella iniziò a leggere:

«Guardate ancora quel puntino. È qui. È casa. È noi. Su di esso... ogni essere umano che sia mai esistito, ha vissuto la propria vita.... su quel minuscolo granello di polvere sospeso in un raggio di sole …

...Pensate ai fiumi di sangue versati da tutti quei generali e imperatori affinché, nella gloria e nel trionfo, potessero diventare per un momento padroni di una frazione di un puntino.

… L'illusione che noi abbiamo una qualche posizione privilegiata nell'Universo, sono messe in discussione da questo punto di luce pallida. Il nostro pianeta è un granellino solitario nel grande, avvolgente buio cosmico... 

... Non c'è forse migliore dimostrazione della follia delle vanità umane che questa distante immagine del nostro minuscolo mondo?

... Il  pallido punto blu, l'unica casa che abbiamo mai conosciuto.»

Le meravigliose parole, sempre attualissime, conquistarono tutti e nell'aula per qualche istante calò il silenzio.

Lo ruppe Lorenzo, cui fecero eco un po' tutti gli altri:

”Prof, come siamo piccoli.”

”È un po' triste tutto questo!”

”Ma che triste, è stupendo!”

”Io non penso che siamo gli unici, sarebbe assurdo!”

”Un granello di polvere sospeso in un raggio di sole. Non è poetico?”

”Mi ricorda la poesia di Quasimodo: Ognuno sta solo sul cuor della terra...”

”Proprio così più o meno, siamo tutti lì, ma siamo anche soli.“

”È  proprio vero che ci stiamo autodistruggendo. L'ambiente inquinato, l'odio tra gli uomini, la violenza. Dovremmo volerci più bene.”

“E voler più bene al nostro pianeta. Non ne abbiamo un altro!”

”Sì, ci dovremmo voler bene tutti, senza distinzione di colore, bandiera, religione...”

”..e fede calcistica, potrei voler bene anche ad uno della Lazio.” Aggiunse Luca, sorridendo e sdrammatizzando bruscamente il tono della discussione.

A quel punto la magia di quella lezione speciale fu interrotta sul suono della campanella che, come ben sa chi abbia frequentato le aule scolastiche, può tutto e interrompe tutto.

Chiara, all'ultimo banco, era l'unica a non aver proferito parola, alzò la mano mentre gli altri già riponevano libri e quaderni.

”Professore, volevo ringraziarla...”

“Chiara è il mio lavoro, oggi ho fatto una lezione ispirandomi ad una foto che sembra impossibile e al pensiero attualissimo di un grande scienziato che purtroppo non è più con noi...”

Chiara lo interruppe, con garbo. Con il tono pacato di chi era stata sempre relegata in un angolino. Una studentessa riflessiva, intelligente ma non brillante, così dicevano sempre i docenti alla sua mamma. Prigioniera della gabbia della timidezza, tipica di tanti adolescenti.

“No professore,  lei ha fatto molto di più, sa, lei oggi mi ha fatto capire una cosa importante, che non mi era chiara, o meglio pensavo che appartenesse solo a me. Nel gruppo dei miei coetanei così sicuri, così legati tra loro io mi sono sempre sentita un'aliena. E invece sono gli altri a non aver capito.”

“E tu Chiara, che cosa hai capito dalla lezione di oggi?”

“Ho capito che la caratteristica dell'umanità è la solitudine, e tutto il fracasso che facciamo per apparire importanti agli occhi degli altri è solo un'ottusa messa in scena, per sentirci meno soli, in questo spazio immenso. Nonostante questo non abbiamo empatia. Leggiamo ogni giorno storie dei poveri profughi in fuga da paesi dove regnano guerre e ingiustizie, respinti, lasciati annegare, rigettati da altri uomini. Tutto questo non ha senso, dovremmo volerci bene tutti.”

Il vecchio professore sorrise: “Brava” disse, “hai capito il senso. E allora, cerchiamo di farci compagnia, di vivere in armonia e non in competizione, e ricordiamoci che siamo tutti sullo stesso barcone, in balia delle stesse onde, in viaggio verso la stessa meta, peraltro ignota. E se l'uomo è riuscito, nella sua imperfezione a lanciare un messaggio fra le stelle che forse qualcuno un giorno riuscirà ad interpretare vuol dire qualcosa.”

“Cosa prof? “

“Vuol dire che esiste una speranza e che l'uomo può fare cose grandi, grandissime, non solo distruggere, non solo guerre.”

“Speriamo prof, speriamo davvero!” rispose Chiara, mentre sul volto le sbocciava un sorriso che aveva tutto il sapore della primavera incombente.