-I-
Il governo del due
tra quark danzanti e inusitati
a celebrare il primo moto,
per onde, della materia.
Ne immagino un respiro oscillante
e vibrare per rimbalzi il coraggio dell’origine,
euforia delle cellule nell’urto primario:
c’è sempre un bacio all’inizio della vita.
Dei miei, solo uno, fossile
in conchiglia di memoria,
frammenti stellari in fuga
oltre le tue labbra.
Per furore di vita mi includo nei pluriversi,
dove fervore di carbonio prelude
alle forme espanse:
brulichio e disordine
come l’amore ardente,
nel tempo Uno del fuoco.
Solo residui di combustione mi giungono:
spossata la luce che pensa il settembre,
trapela il lungo viaggio,
un lembo soltanto, per prodigio,
tra le stelle scese sul viso
e sento la memoria dell’universo
che s’arrugiada di pioggia astrale.
Averti amato si iscrive nel caso necessario,
un ammasso siderale
addensato nel fuoco dell’Istante.
Poco importa il tempo
precipitato oltre
il fiammeggiare delle passioni.
Il mento sulla mano,
nell’ora del sole ancora concessa,
busso alla chimica del cosmo,
cerco luce di intelligenza astrale.
-II-
Vedo allora, con occhi senza pupille,
verdeggiare il prato sommerso,
la lente del mistero a brillare
semi di reazione cosmica.
Amore di clorofilla,
ambra cronomilionaria
che conservi fiori, piccoli volanti
e i sogni verdi del principio,
prigione e scrigno del mondo primo;
per me non ho astuccio d’ambra
che conservi le parole in teca trasparente,
i cristalli diamantini di un antico palpito,
il vuoto senza oro fascia
la mia infinita canzone.
-III-
Perdura tuttavia, oltre l’inerzia del nulla,
lo sguardo arrovesciato in vertigine di arché,
l’Inizio astrale dell’AMORE,
se ovunque fu sguardo di due,
occhi e molecole a specchio,
lo stesso palpito, uomo e materia.
Muove di segreta danza
imprevedibile incontro di enzimi,
selezione per errori
tra protocellule vaganti e battagliere.
Lo stesso mistero dell’umano sentire
più oscuro degli zuccheri primordiali,
a combattere la dura distanza del disamore,
quanto denso ghiaccio interstellare.
Resiste eppure il pronunciarti
in questa tempesta,
tra cadute di elettroni
o mulinelli di ioni metallici,
resiste la poesia delle ultime sillabe,
specchi di pietas il divenire del mondo,
per noi, post-sapiens,
per me, senza raggi di nominabile,
affidarsi a molecole agglutinate di suoni,
danza alchemica nostra,
dall’alba prebiotica
all’oltreparola inabissata.