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Di là dalle nubi,

due galassie pulsanti

sfuggivano al Magellano.

Nel caloroso intimo

del buio scintillante,

si sfiorarono

con un braccio,

quasi senza volere:

eccoci! Balenò

una scarica

violacea

di silenzî reboanti.


S’accende,

in un battito

di ciglia,

la vita, su quel

ramingo pianeta:

i giorni grevi

allora,

ora

nulla piú

che polvere cosmica,

feconda di moti

senza tempo.


Non una collisione

tradí il pensier tuo

— ahi me! —

giammai privato

di sé.

Ma uno strascico

di faville sfilacciate

— candore onirico —

volteggiando,

si dipanò

melancolico

dall’imbroglio.


Pendenti sul morbido orizzonte

delle mie velleità,

commuovono flussi novelli

verso un abisso

di potenziale

mancato;

lo stesso che s’annida

nella pupilla

sinistra

del tuo occhio

tristemente

socchiuso.


E spiraleggiammo d’incanto,

sospesi nel vuoto,

a braccetto

di sentimenti rossastri;

accordati ad un fulcro

scentrato di gravità.

Le ruote del firmamento

sï erano sciolte:

ne scòrsi incredulo

il corso mellifluo, ma chissà…

Fugace sfileggiò

il velo di Maia.


Cosí folleggio, impaniato

in un duolo arcano;

tuttora oblioso

del basso continuo

costellante ogni attimo.

Desidero l’equilibrio,

in punta di piedi,

ma lo spirito di gravità

s’arrende dinnanzi

al rossore

dei tramonti arretrati,

ove spira l’amore.