Sfidando il rosseggiar dell’occaso
morente,
Venere si svela
pallida e struggente,
di solitudine si ammanta
incerta
tra la tenebra che incalza
e la luce che diserta;
il balenar discreto è lauda
alla bellezza,
ma il cuor rimesta
e convoca tristezza.
Poi si smarrisce nel mutar
di congiunzioni,
mentre aduna
la notte le costellazioni.
Nel mistero profondo arranca
la ragione,
è una chimera
che forgia l’Orsa e Orione,
è lo spirito inquieto, roso
da follia
che il mito plasma
e che ne fa poesia:
con dolore, gloria, desiderio
e pianto
ogni stella avvolge
nell’immortale canto.
Amanti bramosi, nelle notti
roventi,
amor giurano eterno
alle stelle cadenti,
smarriti nell’abbraccio, scrutando
l’infinito,
libano
con l’essenza del proibito.
E marinai, guidati dalla fissità
polare,
solcano con i legni
il periglioso mare.
Nel curvar ellissi, sapienti
ed indovini,
traggono linee astruse
di geometrie e destini
e c’è chi scruta il ciel e intanto
spera
nel transitar di nube
diafana e leggera.
Mutevole la luna, instabile
ed errante,
rincuora col pallore
l’impavido viandante
e mentre l’emisfero si acquieta
e si riposa
si spegne una galassia
muta una nebulosa,
sul nostro oblio la notte si avvoltola
e consuma,
verso ponente
l’ombra del suo mantello sfuma.
Poi, quando l’alba scuote le sue
chiome,
Venere si ridesta,
ma con mutato nome
e ancor nel cielo esangue il suo potere
adduce
d’aver il privilegio
di rivelar la luce.