Ai finimenti stretta,
la criniera ho sentito fluttuare
nel vento dell’ignoto.
Ho udito il tonfo dello scalpitio
su ammassi di costellazioni
vergini e lucenti
e la via lattea,
lastricata di umane sofferenze,
è parsa un filo smarrito
nella lontananza.
Oltre le propaggini
dell’infinito,
dove l’oscuro mare
dilaga inghiottendo
detriti di nebulose,
ho spronato Pegaso ad andare.
Ma troppe le lune
dal docile volto
pronte ad irretirci
con melliflui presagi,
troppe le comete dalle code fluenti
avvezze ad indicare
improbabili strade.
Penetrante
il sibilo delle Perseidi
rintronava come
un canto tentatore
e Pegaso,
scudiero fidato,
nel ventre
del Grande Carro
ha deposto
il mio sonno.