Risuona, nell’intangibile immensità siderale,
Che tutto contiene e nulla trattiene,
Un sempiterno motiv, bisbigliato dalla corda
Celeste che di vibrar mai smette .
È il suon dell'infinito, universo forestiero,
Ch'adagio inonda l'affollato vuoto inerte.
E t'assorda, silente, l'irrequieto pensiero,
Il dolce frastuon dell'abisso del cielo.
Allor s'isola frigida, dal tramestio
Dell’umana esistenza, l'anima tua limpida.
Nell'impervio firmamento s'eleva e assorta
Vaga, tra schier d'astri lucenti, che lieti
Sfavillan lungi oltremodo dall'antropica selva.
Nella quiete s'assorbon le frivol voci, che la
Nota ancestral, eminente, sopprime.
E il sol guardo, quieta il richiamo sublime.
Par che gl'occhi tuoi, smarriti s'aggiran
Nel cinico cosmo, eppur tu volteggiar li senti
Tra legion d'entità ridenti, che, pur eteree,
scorgi, tant'è profondo il nobil miraggio.
E per man t'accompagna l'ineffabil eufonia
Che giammai produrrà l'umano congegno.
D'improvviso s'annulla l'effimera essenza,
Che l'esile animo, d'ogni uom, tormenta.
Lesto s'affranca dall'umana prigione il
Candido spirito; pago sollazza, e oblia di
spettar a più angusta dimora.
Quand'ecco ch'insorge l'umana voce, remota
T’avvolge e recide l'onirica pace.
S'ostina il dolce sentor nell'onirico loco,
Né mai prova tedio nel mirar le stelle, né